Storia

Quando l’autoritratto diventa metamorfosi

Uno sguardo alle donne che hanno trasformato se stesse per combattere per i diritti di genere negli anni ‘70 e ‘80

di
Luisa Pessina (PHOTOCONSORTIUM)

“Le metamorfosi” del poeta latino Ovidio mostra le donne trasformarsi in elementi della natura: piante, rocce e animali. Durante il Rinascimento, le donne cominciano a rappresentare se stesse attraverso gli autoritratti, fornendo un’alternativa allo sguardo maschile. Con gli anni ‘70 e ‘80, gli autoritratti diventano gli strumenti che permettono alle donne di ridefinire se stesse attraverso la trasformazione.

L’autoritratto

Realizzare un autoritratto è un atto schizoide.

Susan Butler, 'So How Do I Look? Women Before and Behind the Camera'

La giornalista e biografa americana Susan Butler afferma che c’è una differenza fondamentale, con cui chi fotografa deve fare i conti, tra l’autopercezione e il modo in cui gli altri ci percepiscono. Quando guardiamo una fotografia, stiamo essenzialmente osservando una parte di mondo attraverso gli occhi di chi l’ha scattata, nel preciso momento in cui la foto è stata fatta. Quando è una donna a realizzare un autoritratto, forza il mondo a guardarla come lei desidera.

Gli autoritratti sono, nell’era moderna, un modo per le donne per avere il controllo sulla percezione che gli altri hanno di loro, specialmente in una società dove la rappresentazione delle donne è spesso mediata dallo sguardo maschile nell’arte, nel cinema e nei media.

Durante gli anni ‘70 e ‘80 la voce delle donne si è diffusa attraverso l’Europa e l’America, reclamando una società più equa. Le intenzioni e gli ideali dietro i movimenti erano diversi: alcuni gruppi chiedevano cambiamenti attraverso singole leggi mentre altri credevano che la ribellione dovesse riguardare la struttura della società. In ogni caso, questo fenomeno vide le donne liberarsi dall’isolamento familiare e riunirsi.

La metamorfosi delle donne

Dal bisogno di essere viste individualmente come desideravano, alcune fotografe hanno cominciato a mostrare categorie di donne (da differenti classi socioeconomiche ed etnie, fino a differenti periodi storici), o tutte le donne, come volevano, per fare in modo che il mondo vedesse le donne come loro volevano. Hanno anche cominciato ad alterare il proprio aspetto attraverso l’arte per mandare un messaggio.

“Le metamorfosi” di Ovidio è uno dei pochi esempi di antichi testi narrativi latini. Consiste in un insieme di racconti che spiegano miti antichi, in cui gli individui vengono trasformati in qualcosa di diverso – Eco in una pietra, Dafne in un albero – dagli dèi. Con una sensibilità molto moderna, Ovidio rappresenta nelle “Metamorfosi” alcuni profondi drammi dei personaggi femminili.

La fotografia degli anni ‘70 e ‘80 ha mostrato le donne trasformare se stesse. Hanno modificato il loro aspetto attraverso l’autorappresentazione come riflesso di un gigantesco cambiamento sociale. Hanno giocato con le metamorfosi che la società ha storicamente imposto loro, trasformando le donne in oggetti del desiderio maschile e in stereotipi.

Cindy Sherman – trasformandomi nello stereotipo di me stessa

Cindy Sherman è una famosa artista, fotografa e regista americana. È sempre stata appassionata di costumi e trasformazione. La sua serie “Untitled Film Stills” (1977-1980) consiste in più di settanta foto in cui la fotografa mostra se stessa travestita da diva di Hollywood, gettando luce sullo sguardo voyeuristico del cinema, che rappresenta il corpo della donna e la sua identità come simulacri del desiderio maschile.

Recentemente, è stata scritturata per la campagna della collezione primavera/estate 2024 di Marc Jacobs. A settant’anni, Sherman è stata selezionata a causa del suo ruolo nella trasformazione della percezione di bellezza e identità. Nella campagna, Sherman ancora una volta si trasforma, diventando una punk rocker e poi una donna in carriera su tacchi vertiginosi.

Libera Mazzoleni – la strega

Durante gli anni ‘70, i movimenti femministi hanno riesaminato la storia delle streghe e la loro oppressione storica, che è dilagata dall’inizio del 1400 e ha visto dai 40.000 ai 60.000 processi in Europa finire con la pena capitale. Riscoprendo il ruolo delle streghe e impersonandolo, le femministe degli anni ‘70 hanno avvertito come siano state frequentemente trasformate nella versione demonizzata di se stesse dopo aver acquisito potere.

L’artista italiana Libera Mazzoleni ha lavorato a “Le Streghe” dal 1975 al 1976. È una serie di dodici fotografie nelle quali l’artista ha usato la tecnica del collage fotografico per giustapporre i suoi autoritratti all’interno di dipinti che ritraevano streghe da litografie del 1500.

Io sono parte della storia di demonizzazione delle donne, come ogni donna che è stata distrutta dalla violenza di una storia che ha cancellato le esistenze non assorbibili.

Carolee Schneemann – trasformando me stessa in un divano

Carolee Schneemann è stata un’artista e pittrice americana che ha scandalizzato la società moderna con le sue opere e le sue performance a causa dei loro contenuti espliciti. Il suo primo lavoro, “Eye Body: 36 Transformative Actions” (1963) è una esplorazione accattivante dell’oggettivazione della donna.

Attraverso trentasei fotografie, l’artista si ritrae mentre si trasforma gradualmente in un oggetto tra gli altri oggetti del suo loft, circondata da piume, tacchi e specchi rotti, come quelli mostrati nella fotografia qui sopra.

Tomaso Binga – un alfabeto fatto di me

Bianca Pucciarelli Menna, conosciuta come Tomaso Binga, è una poetessa e artista concettuale italiana. Particolarmente interessata alla fusione di arte e linguaggio, nel 1976 ha creato la sua opera più famosa, “Alfabetiere murale”, in cui ricrea l’alfabeto usando il suo corpo – un concetto a cui ci riferiamo adesso come “scrittura asemica”.

Il suo lavoro è nato dal bisogno di cambiare il modo in cui la società parlava e pensava delle donne e del corpo femminile – un corpo vero e non un’idea della mente dell’uomo – e di ricordare che il cambiamento risiede anche nelle parole che scegliamo di usare.

Nelle “Metamorfosi” di Ovidio, le donne si trasformano in fiori perché diventano vittime di un dio che non sa cosa “no” voglia dire. Con la nascita delle maree femministe, le donne reclamano il controllo sul modo in cui il mondo le percepisce: non più come fiori, rocce o piante a causa del comportamento degli uomini.